Memow

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L'autunno, benché inoltrato, avanzato, fu mite, riscaldato da un sole che confortava e invitava a uscire di casa. Le giornate, inondate dalla luce, parevano lunghissime, eterne, tanto che l'improvviso precipitare delle tenebre e l'aria che di colpo si raffreddava sorprendevano molta gente che, avendo perduto la nozione della stagione e dell' ora, ancora indugiava all'aperto.

Il parco pubblico, l'unica grande chiazza di verde della città, era più affollato che d'estate. Numerose erano le mamme, a spasso coi loro piccoli, e tante le persone anziane che si stipavano sulle panchine esposte al sole.

I vecchi stavano in silenzio. Qualcuno leggeva il giornale, con gli occhiali sulla punta del naso e compitando le parole con le labbra, ma i più sogguardavano pigramente la terra spoglia e secca e i vialetti polverosi e bianchi di ghiaia. Spesso, alzando gli occhi verso l'azzurro pulito del cielo, osservavano i rami nudi degli alberi e si stupivano di non scorgervi germogli o indizi di verde.

Alichino richiuse il libro che stava leggendo. Doveva riposare la vista, affaticata dalla luce che rendeva accecanti le pagine.

«Mai visto a Bologna un autunno come questo.»

Così disse qualcuno che sedeva accanto ad Alichino. Era un signore anziano, dall'aria distinta, severa ma addolcita da due piccoli occhi bonari. Portava un cappello grigio, dalla falda larga e bordata di seta all'orlo, com'era di moda anni prima, e indossava un cappotto di taglio vecchio ma ricercato.

«Una stagione eccezionale» soggiunse. «Non le pare?»

«Come i tempi che stiamo vivendo.»

Il signore anziano considerò il giovane con interesse, come se la sua osservazione l'avesse particolarmente colpito. Stiamo vivendo...» mormorò, ripetendo le parole. Poi, senza guardarlo, domandò: «Che effetto le fa, vivere?».

L'insolita domanda fece riflettere Alichino. Va bene che la guerra era finita da poco, e l'esservi sopravvissuti poteva ancora apparire un privilegio, ma era evidente che la sostanza della domanda posta dall'anziano signore non riguardava un così diffuso e oramai banale sentimento.

Alichino rispose stringendosi nelle spalle e con un sorriso che voleva significare: «Non so che cosa dirle». Ecco – pensava intanto – ecco chi può essere costui: un insegnante, un uomo di studi in pensione, che ritrovandosi vecchio e probabilmente inutile, altro non ha più da fare che roder si con le domande ultime, le tremende domande senza risposta sul significato della vita e della morte. E le pone a chi gli capita a tiro non tanto per avere, appunto, una risposta, quanto per sfogare in qualche modo le sue ansie, le sue ossessioni senili.

Il signore anziano raccolse un po' di ghiaia fine e la lasciò ricadere facendola scorrere nel palmo della mano come da una clessidra.

«Lei crede in ciò che è già stato scritto e stabilito? Diciamo dal destino, dalla sorte, dal fato.»

Il giovane annuì.

«Era scritto che oggi noi due ci saremmo incontrati» disse il vecchio pulendosi la mano con un fazzoletto.

«Forse lo ha scritto soltanto il caso.»

«Il caso non scrive e non scava. Sfiora e vola via.»

Alichino si sentì indotto a parlare della necessità che aveva di trovare un lavoro. L'altro lo ascoltò con molta partecipazione, intervenendo con alcune osservazioni sensate, giudiziose, anche se generiche. Volle concludere con un gentile incoraggiamento.

«Sono sicuro che lei troverà molto presto ciò che cerca. Un lavoro adeguato alle sue attitudini, non certo un lavoro purchessia »

Non ebbero altro da dire. Il ghiaccio dell'estraneità parve riformarsi in fretta.

Il signore anziano si alzò, dimostrando nelle gambe una insospettabile agilità, salutò sollevando appena il cappello e si allontanò come se di colpo gli fosse insorta una grande premura.

Due giorni dopo Alichino trovò un lavoro.

Un posto decisamente invidiabile, in un vecchio istituto di credito bolognese: il Banco Prestiti.

L'assunzione era stata caldeggiata da qualcuno che non conosceva. Volle sapere chi doveva ringraziare ed ebbe un presentimento che puntualmente si avverò.

Colui che lo aveva così efficacemente raccomandato, e che venne di persona ad aprirgli la porta quando si recò a fargli visita, era il signore anziano che aveva incontrato nel parco.

Quel giorno non si erano presentati. Dunque come aveva fatto il signore anziano a sapere chi era il giovane e quindi a segnalarlo alla direzione del Banco Prestiti?

Il signor Alsazio Gamberini – cosi si chiamava il signore anziano – spiegò: «All'istituto sappiamo tutto di tutti». Ebbe un lampo di malizia negli occhi. «Altro che la polizia. Ma lo vedrà lei stesso.»

Alichino venne accolto con molta affabilità, come un ospite gradito e soprattutto atteso. Il signor Gamberini lo fece accomodare in uno studio austero, arredato con pesanti mobili ottocenteschi.

«Lo sa, signor Chino?.. Posso chiamarla cosi?» «Mi fa piacere, signor Gamberini.»

«L'altro giorno ho notato, sa, che stava leggendo il libro di Psello, Opinioni dei filosofi sull'anima. Mi è bastato. Per me è il suo vero titolo di merito, al di là di ogni diploma.» Scrutò il giovane con attenzione. «Ma lei dovrebbe conoscere anche un altro libro di quel filosofo.»

«Le operazioni dei demoni

Il signor Gamberini annuì impercettibilmente.

«Mio padre lo tiene chiuso a chiave nella sua biblioteca.»

«Forse suo padre non si è ancora reso conto che lei è in grado di leggerlo. È più facile che i figli conoscano i padri, invece che il contrario. Sarà per questo che io non ho voluto avere dei figli. Per dirla tutta fino in fondo, non ho avuto nemmeno una moglie.» Con un sorriso e un gesto della mano considerò concluso l'argomento. «No, non mi deve alcuna riconoscenza, signor Chino. Certamente ho voluto aiutarla, ma l'ho fatto nell'interesse dell'istituto dove sono stato contabile per tanti anni, e per cui ancora lavoro a domicilio.» Si fregò le mani soddisfatto. «Siamo molto, molto esigenti. Dico siamo perché mi sembra di appartenere all'istituto, cosi come mi sembra che l'istituto appartenga a me.»

Andò a preparare del tè. Alichino si mise ad os–servare le stampe che adornavano le pareti dello studio.

Erano in realtà dei documenti bancari che risalivano ad un secolo prima ed oltre. Cambiali, obbligazioni, assegni, credenziali di credito, certificati di cambio di valuta. Conservati sotto vetro, sobriamente incorniciati, erano ingialliti, sbocconcellati ai margini dalle tignole, e scritti con calligrafie corsive e ricciolute. Gli inchiostri erano virati in un color seppia.

Una collezione certamente insolita.

«Documenti bancari del nostro istituto» disse la voce del padrone di casa, sopraggiunto silenziosamente alle spalle del giovane. «Come già le ho detto, a volte mi sembra di essere al Banco Prestiti da sempre, dalla sua fondazione, che risale al XVII secolo. Vedrà anche lei come ci si possa immedesimare, identificare totalmente nel lavoro, nel nostro lavoro. Non se la deve figurare come un'attività monotona, noiosa. Se potessi tornare indietro, la riprenderei da capo, senza un attimo di esitazione. I momenti più eccitanti, più esaltanti della mia vita, li ho trovati esclusivamente nel lavoro.»

Sorseggiavano il tè. Il benefattore faceva di tutto perché Alichino si sentisse a proprio agio. Era prodigo di consigli, di suggerimenti che sarebbero serviti al giovane per svolgere nella maniera migliore le mansioni che lo attendevano. Ripetutamente sottolineò che la fedeltà all'istituto sarebbe stata compensata con

grande generosità: una generosità che andava ben oltre lo stipendio e la carriera. Dedicare degli anni all'istituto – osservò ad un certo punto – significava impiegarli ad un interesse altissimo. Come ricevere, in compenso, anni di vita in più.

Poi, sempre più loquace e infervorato, volle spiegare i principi basilari che regolavano l'attività del Banco Prestiti.

«La parte essenziale è l'avere, cioè la riscossione dei crediti. Noi non molliamo mai. Esigiamo che il nostro avere ci venga puntualmente corrisposto fino all'ultimo centesimo. Naturalmente con gli interessi.»

Alichino sapeva che vi sono dei crediti che per varie ragioni diventano inesigibili e che nei bilanci bancari vanno poi a finire nella voce delle perdite. Ma giudicò inutile, oltre che scortese, contraddire il suo benefattore. Ciò che questi sosteneva con assoluta sicurezza, sembrava fondarsi sugli assiomi caratteristici della senilità.

«I nostri debitori pagano sempre. Non ne scappa uno.»

Cosi dicendo allungò una mano, afferrò sulla scrivania un voluminoso registro e lo passò ad Alichino.

La rilegatura era di pelle, ma consunta, vecchissima e più volte riparata con spago e colla. Le pagine, spesse e indurite, chiazzate di umidità, rivelavano la patina del tempo ma anche un uso che ancora conti–nuava. Tutte riempite a mano, erano oramai alla fine. La calligrafia mutava: ricercata e ornata nelle prime parti, diventava via via più semplice ed essenziale. Così l'inchiostro, dapprima color marrone, era nelle ultime pagine nero o blu. Eppure si capiva benissimo che la mano dello scrivente era sempre la stessa.

L'intero volume altro non era che un elenco ininterrotto di nomi e cognomi – anzi di cognomi è nomi.

«Ha visto quanto lavoro? Oramai sono alla fine. Pensi che l'ho incominciato a vent'anni. Avevo giusto la sua età.» Il signor Gamberini riprese il registro e se lo tenne amorevolmente sulle ginocchia. «Questi nomi? Sono quelli dei debitori speciali. Clienti che l'istituto tratta con ogni riguardo.»

«Anche loro pagano puntuali?»

«Più degli altri, vedrà. Pagano tutti, senza eccezioni.»

«Debitori speciali. Significa che hanno avuto dei crediti privilegiati, dei prestiti sulla fiducia? Senza garanzie?»

Il signor Gamberini si strinse nelle spalle.

«Queste informazioni si trovano nell' archivio centrale dell'istituto. Un archivio segreto e inviolabile, trattandosi di una banca. E lei non deve porsi certe domande.» Alzò il dito con complice intelligenza. «Lei che legge i veri libri, signor Chino, dovrebbe già sapere che le nostre domande non possono ottenere quelle risposte che non hanno voce.»

Guardando fuori notò che il sole era vicino all' orizzonte. Gli venne un'improvvisa fretta, come quel giorno nel parco.

«Devo proprio andarmene» disse.

Senz' altro dormiva da qualche parente – pensò Alichino – per non rimanere solo la notte.

Accompagnò il giovane alla porta.

«Venga a trovarmi, quando ne ha voglia, signor Mascaro.»

Quella sera stessa Luciano Pugliesi seppe che l'amico aveva trovato un lavoro. Fece una smorfia e si trattenne dallo sputare per terra.

«Tu, impiegato in banca.»

«Contabile, se è per questo. E con un ottimo stipendio.»

«Resterai infognato lì dentro per sempre.»

«Ci starò solo per qualche anno.»

«lo ti conosco, Chino. Tu farai il contabile per tutta la vita.»

«E tu il magistrato o l'avvocato.»

«lo prenderò la laurea per compiacere i miei. Poi me ne andrò a Roma e farò il pittore.»

Il giorno dopo – una domenica – Alichino andò a Baretta ad informare il padre.

Astarotte accolse la notizia dimostrando uno scarso interesse. Era tutto preso dai preparativi per un viaggio che voleva fare negli Stati Uniti ai primi dell' anno nuovo.

«L'America prenderà il posto della Germania» affermò congedando il figlio.

Aveva cambiato guanti. Ora li portava di camoscio marrone.

Da Roma, Fatima non aveva scritto al marito. Aveva mandato soltanto una cartolina di saluti al figlio.

(pp. 22-30)

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